GIOSY racconta… DON GIOSY

3a puntata

A ottobre del 1966 entrai in prima Teologia. Mi aspettavano i quattro anni decisivi della mia vita. Avevo venti anni. Il primo anno ero con i miei compagni di classe in una piccola aula non lontano dalla cappella. Si aveva diritto alla stanza singola per favorire lo studio, la preghiera personale e l’allenamento all’autonomia in vista della futura vita sacerdotale. Una piccola forma di responsabilizzazione e riservatezza. Ma fui mandato a fare l’animatore con i seminaristi del ginnasio, per cui la cameretta… sfumò.

Nella mia classe eravamo un gruppo molto affiatato: la maggior parte siamo diventati Sacerdoti: Don Angelo Baiocchi, Don Mariano Pelliccioni, Don Sante Vincenti, Don Giuseppe Trapé, Don Claudio Gerbino, Don Fernando Filoni (mio vicino di camera e ora Cardinale Filoni Prefetto di Propaganda Fide), Dario Mencagli che partì per l’Africa e si è fatto una bellissima famiglia, Gianni Puddu anche lui si sposò rimanendo un forte credente. Affrontavamo insieme il primo linguaggio teologico che, a me sembrava all’inizio, molto ostico. Avevamo un nuovo professore che ci introduceva alla Sacra Scrittura, il Prof. Cognoli, molto severo e che mi incuteva tanta paura. Mi appassionava l’Ebraico che lui ci insegnava. Sono sempre stato appassionato di lingue e linguaggi. L’Ebraico costringe a entrare in un mondo nuovo dove, con poche parole, si dice tutto. Leggere al contrario, da destra a sinistra con le vocali sotto le consonanti e poi cercare i significati profondi della Parola in ogni parola. Avevo molto amato, al liceo, la matematica: così mi sembrava la lingua Ebraica. La studiavo come un ricercatore scientifico. Mi sono rimaste impresse alcune cose… ma poche.

La sensazione, però, più profonda, era di avvicinarmi finalmente alla Sorgente della Vita e di cominciare e berne dei sorsi. Un nuovo respiro spirituale, una presenza che non mi invadeva solo la mente, ma cominciava a prendermi il cuore. Il “Dio sconosciuto”, di cui parla San Paolo agli Ateniesi, mi sembrava si avvicinasse a me e mi sentivo piccolo e anche grande perché avvertivo di conoscere Qualcuno non totalmente conosciuto e il desiderio di farlo conoscere a tutti. Vai a capire che effetto fa la Teologia nella mente di un ragazzo!!…

Intanto stavo con i ragazzi del ginnasio, a sillabare latino e greco, a inventare giochi , imparando da loro come essere un dono per gli altri e non pensare più a te stesso.

Ma ero contento, molto contento, perché ricevevo anche le loro confidenze di adolescenti e potevo dare una piccola mano. Mi sembrava di ripercorrere la mia fase di vita al Seminario Regionale e di poter essere vicino a questi “ragazzini”. Questo mi portava, adagio adagio, a pensare che, ormai nel dopo Concilio, si stava cambiando l’immagine dell’educatore. In fondo il confidente non era più solo il “classico Padre Spirituale” chiuso, in tutti i sensi, in camera sua, ma era chi stava più vicino a loro (diventerà questa la mia… fissazione e la mia tesi di Licenza in Teologia al Laterano…. non capìta dai miei relatori…mah!…).

Intanto calcio, pallavolo, passeggiate fino alla Pallanzana (un monte impervio sopra il Seminario), uscite a Viterbo città, musica, organizzazione di feste e di Festival.

Spesso la preoccupazione era “guardare avanti” e intravedere vicina la scelta definitiva della vita: il Sacerdozio o una Famiglia. Un tiro alla fune che mi allungava ora di qua, ora di là. Ma, come forse facciamo tutti, a giorni e periodi alterni ero felice o scontento di stare in mezzo a questa normale situazione. I miei peccati adolescenziali mi complicavano la vita, ma ho sempre creduto che il mio Signore è infinitamente più grande dei miei peccati.

La donna esisteva solo nella fantasia e questo penso che oggi, giustamente, sia stato abbastanza superato in seminari più aperti al mondo femminile.

Il Tabernacolo è stato sempre il mio rifugio preferito per confidarmi con l’Unico Modello (C. De Foucauld) da assimilare. Sopra il Tabernacolo, l’immagine dolcissima della Regina Apostolorum con gli Apostoli attorno. E il canto del Seminario: “A te dolce Regina si apre il giovane cuore, come fiore la mattina in un canto d’amore. Che speranza infinita, o Vergine, all’aprirsi della vita…gioia e luce abbiamo in te“.

Inoltre, nella cappella, c’era una via Crucis, a altezza d’uomo, che ti permetteva di camminare lungo le pareti e avere il tuo  sguardo in sintonia con gli occhi di Gesù che dà la vita per te. Quante volte ho percorso quel perimetro di cappella a occhi chiusi, pregando, imparando a soffrire in silenzio.

Dai miei di casa mi arrivava una certa serenità (mai quella economica), complicata sempre dalla insistenza di mio padre nel non accettare la mia strada.

In prima Teologia si viveva “il taglio dei capelli”, la Tonsura o Chierica. Era il primo “SI” al Signore, il primo gradino della Scala verso gli Ordini Minori e poi quelli Maggiori e il Sacerdozio. Sentii fortemente questo passaggio e notai, dentro di me, una grande felicità e compresi, da ventenne, che dopo le scelte importanti c’è la felicità, la consapevolezza e anche una maggiore sicurezza nel fare il cammino verso la mèta.

A volte, nelle scelte, sembra di buttarsi nel buio, nel vuoto, tra le braccia di nessuno. Quando fai esperienza che ci sono le braccia invisibili di un giovane Dio, puoi guardare verso orizzonti che sembravano anche impossibili. Lui e la Chiesa sono con te.

Dopo le vacanze, si apriva per me l’ingresso ai Corsi riuniti di Teologia…un sogno!