Almeno una canzone di Giosy Cento l’abbiamo cantata tutti. Viaggio nella vita, Acqua siamo noi, Cammineremo nella libertà… Parole che restano, melodie che accompagnano, preghiere che scavano dentro. In quasi 40 anni di evangelizzazione con la musica ha scritto centinaia di testi, nati dalla preghiera sulla Parola, da un incontro in parrocchia, dalle tante persone che gli scrivono e dai giovani che lo incontrano nei concerti, ai campi scuola, negli incontri di spiritualità, Don Giosy ha oggi prodotto un nuovo album, Ho fatto un sogno, ispirato al sogno di fratellanza di Martin Luther King, insieme a un nuovo libro intitolato Shaked scritto in collaborazione con Marcello Silvestri sulle sue opere d’arte bibliche.

«Questo è un disco che nasce dalla mia anima di prete di oggi che guarda e respira il mondo attuale. Guarda e respira con gli occhi e il cuore di Dio. M. Luther King e il suo stupendo discorso di libertà sono semplicemente l’occasione che dà l’impulso a questa proposta musicale cristiana», ci dice. «Ascoltando quel discorso dopo cinquant’anni, mi è sembrato che il suo grido accorato, rischioso e pieno di fede, fosse così attuale fino a convincermi che tutti i credenti non dovremmo più stare a coccolarci nei nostri ambiti ristretti, ma andare negli spazi aperti a gridare il sogno biblico che è un progetto pratico di libertà, di giustizia, di pace: parole inflazionate da far ri-suonare con la semplicità e la concretezza della parola di Dio che, unica, ha il potere di “trafiggere” e cambiare il cuore.

«E ho pensato non al verbo “avere un sogno”, ma al verbo “fare un sogno” nel senso di impegnarmi ancora a realizzare, con tutte le forze, un annuncio e una testimonianza di quello che sembra impossibile con le sole forze umane dentro a questa società e che, invece, è possibile seminando il “sogno eterno” di Dio che rovescia tristezze, poteri politici, economici e garantisce una riuscita ai suoi pensieri che… non sono i nostri pensieri».

Come si sviluppa questo tema nei diversi brani?

Per ogni canzone il cantautore cerca un’idea di testo, una tematica adatta al tipo di musica che si è scelta con l’equipe di lavoro. Cosi, in questo disco, c’è una varietà notevole di riflessioni cantate. C’è il pezzo dedicato a colui nel quale tutti gli ideali s’incarnano e diventano possibili: Jesus, incredibile amore. Ma vicino c’è la canzone dei ragazzi che si chiedono: Dov’è il futuro (“Dov’è il futuro che mi spetta, perché la vita passa troppo in fretta. E datemi un lavoro e la fatica, la lotta e la speranza del domani che ci sarà”). Poi una riflessione sul modo esteriore di vivere oggi: Il mercato dette falsità e, ancora più forte, Chi ha mangiato che contesta mafie e omertà e invita ad assumersi le responsabilità della storia di sempre.

«Si canta anche il silenzio, il nascondimento, i militari mandati alle cosiddette missioni di pace. i malati, i genitori che non ricevono mai applausi con un pezzo dolcissimo Questo applauso è per voi. C’è la canzone del Nuovo amore, ispirata al Cantico dei cantici, sulla coppia innamorata. C’è una preghiera: una melodia del cuore per dire a Dio: “Solo tu mi accoglierai” perché tu sei l’unico che non mi giudica. Poi Aria celeste, che dà il senso di ogni novità che la fede fa nascere per rendere l’uomo felice. Infine Ho fatto un sogno che raccoglie la profezia della vittoria del bene sul male, della pace sulla guerra, la convivenza del lupo e dell’agnello e i popoli che si danno le mani».

Che sogno dì Chiesa le ispira Francesco?

«Ho incontrato, a tu per tu, Papa Francesco. È bello, ti guarda dritto negli occhi, ti accoglie, sei subito nei suo cuore, ti trascina oltre, ti parla partendo da te, È autentico, vive quello che dice e per questo stupisce, commuove, fa esplodere partecipazione e applausi nelle masse. Quando sono tornato a casa, mi sono chiesto: ma adesso, come prete, quale Chiesa vorrei fare per seguire il cuore di Francesco? Ho avuto paura un po’ per lui, per Francesco, e un po’ per me e per la mia Chiesa. Perché penso che la distanza tra il Vaticano e ogni parrocchia del mondo è grande. Quanto tempo ci vorrà perché le parole: poveri, periferie, scaldare il cuore, accompagnamento, niente carrierismo, fare vescovi coloro che non desiderano l’episcopato, cristianesimo non da salotto, non farsi narcotizzare dall’indifferenza, cardinali che pensano di non essere una vecchia Corte di potere… quanto tempo ci vorrà perché diventino azione e vita pastorale di parrocchie, comunità, diocesi, continenti lontani da Roma? E allora mi metto a pregare per lui e per la Chiesa di Gesù. Prego tanto perché Francesco le chiede continuamente e poi cerco di cambiare me stesso. Il sogno di Fran-cesco, spero, avrà cosi un’accelerazione».


Lei ha sempre usato la sua musica per parlare ai giovani. Oggi quali le sembrano Ie parole più efficaci?

«Posso dire quello che cerco di vi-vere con questa generazione “l” (lpod, lpad, Iphone…). Due parole guidano il mio incontro con loro: amore e fantasia. Non sento alcuna distanza da questi giovani del Terzo millennio. Mi piacciono, sono fenomeni, ho tanto da imparare da loro perché hanno menti e cuori grandi insieme a troppe fragilità (come noi
adulti). Li amo, li perdono, li aspetto, sono esigente, sono un difficile amico e cerco di essere un padre presente. Tento relazioni personali non solo di… cellulare o Facebook.

«Mi piace parlare dialogando, mi piace inchinarmi alla loro saggezza giovane, mi sento piccolo e loro sono i grandi che avranno in mano il futuro che ha radici nel presente. Li valorizzo nelle loro capacità con fantasia e creatività. Cerco di sorprenderli con iniziative su quello che piace prima a loro e poi a me. Anche questo disco di un prete li sorprenderà per musica e audacia nei testi. Spero si sentano capiti e amati. Sarò un matto-innamorato dei giovani finché vivo».

Che domande si portano i giovani che incontra? E come sono cambiate rispetto a 10, 20, 30 anni fa?

«Non parliamo di quelle di cui parlano tutti: scuola, famiglia, Chiesa. Sono domande che ogni generazione di ragazzi si porta dietro: è inevitabile, I giovani, nel loro essere profondo, non cambiano mai: cambia il… look sociale attorno a loro e la storia che non è mai tenera con loro. Oggi la domanda che più mi colpisce, che abita di più il mio cellulare e le mie e-mail, è: “Che senso dare, che scopo darmi nella vita? Non so che fare, aiutami. Fammi conoscere un progetto nel quale mi posso impegnare per essere felice a lungo, non solo per un attimo”.

«Poi mi colpiscono le loro domande sul perché gli adulti sembrano adolescenti in cerca di esperienze: sono stanco di fare il papà al mio papà (che beve o tradisce), o di fare la mamma alla mia mamma che è una donna grande e s’è innamorata di uno della mia età. Poi mi sento tanto impotente di fronte alle richieste, ogni giorno, di un lavoro, non ne posso più e non trovo niente. Vorrei gridare a tutti gli impresari cattolici: arricchitevi di meno e date una briciola di lavoro ai giovani che avete intorno e stanno soltanto sì stampare dei curriculum che nemmeno guardate».

Cosa fa adesso, dove vive, che servizio pastorale svolge?

«Era simpatica la domanda di chi mi veniva a trovare in parrocchia magari arrivando da lontano; dov’è la tua chitarra? Molti hanno pensato che io stessi sempre a suonare la chitarra e a scrivere canzoni. La mia vita, invece, è fare il prete e, dopo 25 anni di vita pastorale in parrocchia, ora vivo di più “su tutte le strade del mondo”, ma con una grande nostalgia di… morire tra la gente. La mia missione cammina tra concerti, scrivere, predicazione di esercizi spirituali al popolo, ai giovani e ai sacerdoti, incontri spirituali con moltissime persone, corsi per fidanzati ecc… Ho la responsabilità dì LU&GI (I ragazzi di Santa Lucia Filippini): un gruppo nazionale di giovani che va avanti con un bel cammino formativo da vari anni e fa missioni nelle parrocchie per i giovani e la gente.

«Ma l’attività che più mi prende, oltre ai concerti con i Parsifal (il mio gruppo di evangelizzazione di piazza) è ‘L’associazione Ragazzi del cielo – Ragazzi della terra”, nata 7 anni fa per la morte di tre ragazzi insieme. Una comunità che raccoglie, in tutta Italia, circa duemila famiglie che hanno vissuto la perdita di un figlio in ogni modo (incidenti, suicidio, malattie ecc.). La visita alle famiglie, il ministero della consolazione, gli incontri nei vari punti d’Italia, la presenza nel momento della morte, alcune attività comunitarie per “uscire” da questo dolore impossibile: questa è la mia vita di ogni giorno. Questo è il disco del dolore che suona.. sul lettore cd in ogni istante della mia vita. Ma questo è fare il prete. E io sono uno dei tanti. Ci provo con tanti limiti e difetti».