GIOSY racconta… DON GIOSY

1a puntata

Giosy Cento non è un nome d’arte. Quando nacqui nel bellissimo paese di Ischia di Castro (VT), il 12 agosto 1946, fui la felicità di mio padre Goffredo che, ritornando dalla linea Maginot del fronte francese, desiderava lasciare il suo cognome attraverso un figlio maschio, dopo la nascita di mia sorella Pietra, con il nome di sua madre Giuseppa. Mia madre, Assunta Metelli, con il suo carattere piuttosto mite, accettò tutto… e anche l’ingerenza di mia zia Diamante che propose questo particolare nome Giosy come migliorativo di Giuseppe. Io non so perché e come: ma, da quando sono nato, sono sempre stato chiamato da tutti Giosy.

Sono figlio di una famiglia povera economicamente, ma ricca di tradizioni e del grande valore delle relazioni famigliari. La sorgente di tutto era il mio grande nonno Francesco (3 mogli e 10 figli): un Patriarca buono ma determinato e dolce. Lui e la nonna Rosa mi hanno regalato un amore tenerissimo.

Nel mio percorso dell’infanzia ho incontrato educatori sempre forti e buoni: la maestra dell’Asilo, suor Cesira delle Maestre Pie Filippini, i maestri Palazzetti e Ribeca e, in Parrocchia, l’amico dei ragazzi Don Antonio Papacchini. Centri dei miei interessi erano i locali dell’Azione Cattolica per giocare, la Casa delle maestre Pie per il Catechismo, la campagna per andare con gli amici, la vita di vicinato tra le case, il Grest, il campo di calcio. Ma ogni mattina, alle 7.00, ero sempre puntuale alla S. Messa nella Chiesa delle monache Francescane (oggi sostituite dalle Monache Adoratrici del SS. Sacramento fondate dalla Beata Maria Maddalena dell’Incarnazione che proprio in questo Monastero ha avuto da Gesù la rivelazione della sua Missione Eucaristica a 18 anni).

Una persona dell’età di mio padre, Romolo Rossi, grandissimo musicista ed educatore cattolico, ha accompagnato intere generazioni del paese con il suo esempio di fede, con la sua musica, inventandosi… alla Don Bosco, prestigiatore, barzellettiere, narratore sorprendente, catechista che arrivava al cuore. Lui innamorato di noi ragazzi e noi di lui.

In questo ambito, nasce in me il desiderio di diventare Sacerdote. Don Antonio mi è vicino in tutti i sensi, mentre mio padre rifiuta la cosa. Mia madre fa… la Madonna Mediatrice e intercede. In fondo il problema più profondo di mio padre è che teme di perdere il figlio maschio che gli può dare futuro nei nipoti di cognome Cento. L’altro è economico: lui guadagna di meno di quella che è la “retta” che si paga in Seminario. Non so come avranno fatto a vivere o forse a sopravvivere anche perché mia sorella stava diventando grande con le sue esigenze di ragazza. Avevo undici anni quando entrai in prima media al Seminario di Montefiascone (VT), una località freddissima d’inverno e, per tre anni, soffrii tantissimo di geloni alle mani senza poter fare nulla. Mi piaceva studiare e fui promosso sempre a giugno. Mi piaceva giocare a pallone e a biliardino. Mi piaceva pregare e ascoltare le vite dei santi. Spesso scappavo nella cappellina a fare Adorazione da solo e scrivevo un quaderno su quello che il Signore mi sembrava dicesse al mio cuore di ragazzo. Anche qui ho potuto incontrare persone speciali a livello spirituale ed educativo: don Francesco Rossi, santo prete del mio paese e Rettore; Don Domenico Severi prete novello dolce, affabile, severo nel modo giusto, sportivo, uomo di Dio. Ho un grande ricordo di Don Guido Tarantello il prof. di latino che mi ha dato le dritte, su questa lingua, per tutta la vita. I suoi appunti sono da Archivio….

Al termine della terza media ci fu il passaggio al Pontificio Seminario Regionale della Quercia (VT) per Ginnasio, Liceo e Teologia: un programma lungo 10 anni fino all’Ordinazione Sacerdotale.

Il Ginnasio: la mia classe era composta da quasi 30 seminaristi. Cominciò il greco e mi affascinò come tutte le altre lingue. I nostri animatori Fabrizio Anzellini, Fortunato Frezza (diventato poi biblista di fama… e con importanti impegni in Vaticano) e Pasquale La Rocca. Era una bellissima vita comunitaria di Ragazzi in formazione. Finalmente potei esprimere anche qualche dote calcistica e musicale, imparando a suonare sui vecchi Harmonium a pedali. Il prof., che incantava tutti, era quello di italiano Mons. Zarletti perché, nei due anni di ginnasio, sottoponeva tutti alla lettura integrale e totale dei Promessi Sposi, interpretando da solo tutte le voci dei personaggi… veramente divertente!!…

Primo Liceo classico: cambio di materie e professori: qui la scuola diventa impegnativa ed esigente, la ricerca spirituale è nuova, il Padre Spirituale che non ti conosce e ti legge a modo suo. Alcuni amici che cambiano strada e tornano a casa e ti domandi: come mai? Perché? Si può anche prendere la strada di una professione e di farsi una famiglia?

E dentro l’anima, 17 anni, improvvisamente nascono domande mai sentite: ma Dio c’è? E se non ci fosse? E l’Eucarestia è vera? Non sento più nulla. Che devo fare con la mia vita? E ora a chi lo vado a dire? Ho perso… la vocazione? Sono normale se penso solo alle ragazze, alla musica e al calcio?

Comincia un confronto intimo con me stesso, con qualche amico, con il Padre Spirituale; non trovo risposte che mi soddisfano. Cerco qualcuno che mi ascolti. Vado in cerca di un prete giusto… e intanto mi invento la preghiera che ripeto spesso: “Gesù io non ci credo più, ma, se ci sei, batti in colpo”.

Passeranno tre anni di ricerca tra alti e bassi: momenti di Dio e momenti senza voglia di rimanere, ma di andarmene.

In secondo Liceo (l’anno più triste della mia vita! 17-18 anni) comincio a non dormire, a non farcela durante il giorno, a non rendere a scuola, a essere una “schiappa” nel calcio. Mi preoccupa la scuola, il campo dove fino a quel momento mi ero distinto per impegno e risultati. Alla fine dell’anno poi c’erano sempre gli esami su tutto il programma. Mi prese una grande paura di essere bocciato. Mi salvò il compito di greco: una versione difficile della quale io soltanto feci un pezzo di traduzione. Questo, forse, convinse i prof. che la mia era una crisi adolescenziale e che sarebbe passata. Grandi prof. Mons. Manfredi, Mons. Gioacchini, soprattutto Mons. Dante Bernini (poi Rettore e Vescovo di Albano e di Velletri ed oggi emerito a 96 anni e ancora persona di riferimento speciale per tutti noi Seminaristi di quel periodo. Noi andiamo a consultarlo come un… santo – se mi sente mi toglie l’amicizia!!!).

Terzo Liceo: è l’ultimo anno del classico. Comincio a stare meglio e a credere di più in me stesso. La sfida che mi dò è quella di imparare a suonare la chitarra da solo dopo che avevo cominciato a suonare, abbastanza bene, l’organo.

Provo con il metodo classico: buca!! E allora mi rassegno a capire tutti gli accordi possibili: va meglio!! Ci vuole tanta umiltà e fatica, ma questo mi servì molto per reggere, nel mio profondo, le domande esistenziali puntualmente presenti giorno e notte.

L’esame finale a Scuola andò bene anche perché avevo studiato e i prof. premiarono un po’ i miei risultati dei 5 anni di Liceo.

A giugno ecco una bomba: il Padre Spirituale mi chiama per dirmi che “lui ci aveva pensato e pregato molto, ma non mi vedeva fatto per il Sacerdozio… che…”. Stetti in silenzio. Uscii e non so dove andai a… piangere da solo. Sentii il fallimento totale e una grande rabbia: io ce l’avevo messa tutta. Intanto il… diavolo faceva la sua parte sussurrandomi di andare in vacanza e chiudere con il Seminario.

Ma dovevo comunicarlo al grande Rettore Mons. Luigi Fini (che mi ha sempre voluto e fatto del bene). Lui mi domandò subito: “Cosa avete, figliolo?”. “Vado via dal Seminario” risposi. “E perché?”. “Il Padre Spirituale mi ha detto che non sono fatto per il Sacerdozio!” E lui: “Figliolo, quale Padre Spirituale?” Risposi: “Quello del Liceo, Mons. …”. “Ho capito, ho capito”. E si fermò un attimo in silenzio. Poi riprese:

“Fate una cosa, figliolo… cambiate Padre Spirituale”. Uscii confuso, ma interiormente liberato e ripresi la mia strada con il Padre Spirituale del Ginnasio, Mons. Molinari, che mi accompagnerà fino al Sacerdozio.

Quarto Liceo: un anno prima di entrare in Teologia, un anno scolasticamente più leggero e più vario. Dentro al mio cuore l’imperativo era: quest’anno devo decidere la mia vocazione. Fu questo l’impegno nella preghiera, dei confronti con la filosofia (aiutato da Mons. Margaritti, il prof. più giovane del Seminario). Mi rivolgevo a lui stancandolo con le mie richieste di ragazzo e lui, tra una risata e l’altra, mi guidava verso la chiarificazione filosofica e teologica dell’agire di Dio con l’uomo.

Vicino alla mia classe, in quel periodo, fu animatore una persona, dolce, intelligente e profonda alla quale mi lega una grande e fraterna amicizia: Angelo Comastri. Oggi il Card. Angelo Comastri. Un esempio e un… angelo-fratello vicino a noi giovani.
(prima puntata)