GIOSY racconta… DON GIOSY

2a puntata

E durante le vacanze, che cosa facevano i Seminaristi? Essendo figli di genitori poveri, non andavamo né al mare né sulla neve… mai pensato! Si stava in Parrocchia, in paese (vestiti di tonaca e fascia rossa fin dalla prima media!) cercando di godersi tutta la famiglia, gli amici, le attività parrocchiali per il quale il nostro Sacerdote giovane era un vulcano. Abbiamo appreso fin da piccoli, da lui, la vita parrocchiale e pastorale. Eravamo molti seminaristi e quindi c’erano anche momenti insieme soprattutto di preghiera. Naturalmente molti pomeriggi si passavano al Campo Sportivo Parrocchiale a fare sudate impressionanti. Ma che spasso, che serenità… bastava un pallone (mica di cuoio!) per renderci felici. L’attività estiva ci coinvolgeva nel famoso GREST di Don Antonio Papacchini (lo farà fino a 85 anni!) tra gioco, gare, ricerca di Zorro, preghiera, ora della luce-ora delle stelle, gita a piedi al lago di Bolsena con bagno (io non ho mai saputo nuotare, bagnavo i piedi camminando nell’acqua non sull’acqua… come Gesù!!). C’era anche molta attività con il gruppo dei giovani, dei nostri coetanei – ragazze e ragazzi – e si imparavano le relazioni, gli scontri, la festa, la musica, il coretto parrocchiale, le prime canzoni con la chitarra. Spesso con don Elio Forti (mio coetaneo e ora Parroco di Santa Maria della Verità a Viterbo e Vicario del Vescovo per la città), provavamo a imparare da soli a suonare il pianoforte. Che bello… un pezzo a quattro mani! La musica unisce corpo e spirito e dà gioia. Ogni mattina S. Messa parrocchiale e Comunione (con quel Pane quotidiano si diventava forti anche contro le tentazioni e contro i peccati dell’adolescenza). Si pregava insieme e soprattutto davanti a Gesù Eucarestia.

Il Sacerdote ci dava spazio per collaborazioni varie in Parrocchia, anche perché abbiamo attraversato il Concilio Vaticano II con tutte le trasformazioni che esigeva nella Chiesa e il Parroco era molto attento a tutto. Fu il primo, penso anche in Italia, a fare un altare per celebrare rivolto al popolo (un’idea pazzesca: portare nel presbiterio della Chiesa un unico blocco non so di quante tonnellate di travertino. Sul davanti fece scolpire la “sua” teologia catechistica). Si fidò di un giovane scultore di Civita Castellana (VT), Omero Ammannato, sui 30 anni, al quale noi andavamo a dare fastidio. Forse resterà nella storia come la sua unica e più grande opera (fiducia nei giovani!!). Ho celebrato su quell’altare, qualche anno dopo, e ogni volta mi fermo a “ripassare” la chiarissima catechesi del mio Parroco sul blocco di travertino che mi dà l’immagine di Gesù roccia stabile per l’eternità.

Mi sono lasciato prendere dal cuore… chiedo scusa. Ma ora mi viene in mente un episodio di quando frequentavo la quinta elementare.

Un ricordo di una gita dell’infanzia, a Firenze, con la Parrocchia…e finì in pianto. Mia madre mi aveva dato le poche lire che poteva darmi e, fuori degli Uffizi, mi lasciai ingannare, come Pinocchio, dalle bancarelle e comprai un piccolo gadget. Quando uscimmo mi trovai senza gadget… me lo avevano rubato? Avevo avuto una distrazione? Non so! Ricordo che scoppiai a piangere, ma non per il gadget, bensì pensando alla mia mamma perché avevo sprecato quelle lire.

Ricordo, ancora, che la stessa reazione di pianto l’avevo in Seminario, alla Scuola Media, quando prendevo una insufficienza. Chiedevo di andare al bagno e piangevo pensando a mio padre che lavorava al Lamone (una foresta al confine con la Toscana che bisogna conoscere bene altrimenti non la si può attraversare da soli).

La mia sensibilità: un dono e una sofferenza. Ho sempre goduto di questo sentire la vita, tutta la vita ma anche di soffrire per quello che, attorno a me, altri mi sembrava non vedessero e non considerassero. Poi gli avvenimenti dell’esistenza mi hanno portato anche a essere duro e determinato nelle scelte e nell’agire. Ho capito che per essere uomini non basta sentire, bisogna agire.

Volete sapere ancora una volta che ho pianto davvero tanto? Per il Matrimonio di mia sorella. Perché? Ero al liceo. Molto in anticipo comunicai al Rettore la data del matrimonio. “Vedremo…”, mi rispose. Coltivai quel “vedremo” per mesi. La settimana prima dell’evento, ritornai dal Rettore. “Vediamo…, – mi disse – siccome siete un bravo ragazzo, se io riesco a portarvi con la mia auto…”. Il mattino del giorno del matrimonio nessuno mi disse nulla. Momento tragico per me e per la mia famiglia! Ho faticato molto ad elaborare la stupidità pedagogica ecclesiale di quel periodo storico: “Se vai a un matrimonio, potrebbe venirti una crisi sulla tua scelta vocazionale!!”.